Porto la macchina agli occhi, inquadro, scatto. Faccio tre passi indietro, mi giro, inquadro, scatto.
Faccio kilometri e kilometri a bordo di una Chevrolet del 1956 incollato a questi sedili di pelle, inqadro fuori dal finestrino, scatto. Cerco di coglierlo in tutto il suo splendore ma sono sempre troppo lontano, delle volte fin troppo vicino. È come un grosso animale in movimento, feroce.
Carico un altro rullino, scatto, ma riesco a prenderlo solo di sfuggita, la sua scia, mi incanta.
È un grosso animale ferito che mi sorride disperato, l’anima di questo paese, Cuba.
Continuo a muovermi, a fare kilometri, a cavallo, di corsa, con trasporti di fortuna. Scatto.
Sono avvilito perchè passano i giorni, settimane e questo grosso animale mi resta a distanza.
Kilometri, scatto.
Il parabrezza e lo specchietto della macchina hanno sostituito il bordo della pellicola, frame dopo frame testimoniano la mia disperazione.
Havana, Viñales, mi gira la testa, Santa Clara, vengo calpestato ma sorrido, Trinidad.
Questo è quello che rimane, una fotografia in movimento, sfocata, la caccia a questo meraviglioso animale.
Cuba.
Ho il sole in gola e questo odore di terra e di cenere mi calpesta. Ho gli occhi di mia madre e lacrime di nostalgia. Mi gira la testa, tutto il mondo è qui. Un uomo mi sorride con un sorriso enigmatico, è triste o è felice? Voglio chiederglielo ma vengo investito dalla musica del carnevale e il mio amico Manuel mi versa della birra ghiacciata sui pantaloni. Camminiamo, corriamo. Festa. Fumo negli occhi. Manuel ha qualche giro losco ma è una persona splendida. Mi chiede una fotografia dicendomi che è l’unico modo che ha di viaggiare per il mondo.