SCATTERED – My Blue Days with F.
SCATTERED – My Blue Days with F.
Un diario fotografico su fibromialgia e MCS di Sabrina Merolla
Vernissage: Giovedì 12 maggio 2016, Ore 19,00, l’asilo
L’asilo, Vico Maffei, 4; 12 -18 maggio 2016 – ore: 14.00-21.00 – Domenica su prenotazione (3332214230)
[O]ggi sentiamo continuamente parlare d’inquinamento e, con frequenza crescente, di disastri ambientali. Lo sappiamo che stiamo distruggendo il nostro pianeta, come siamo consapevoli che esistono centinaia di nuove malattie, molte delle quali imputabili alle reazioni del nostro corpo a sostanze e tecnologie con esso non del tutto compatibili. Eppure questo flusso costante d’informazioni difficilmente ci induce a cambiar rotta…
Ho mostrato i primi sintomi di MCS (ipersensibilità chimica multipla) e fibromialgia mentre risiedevo ancora in una Pechino drammaticamente inquinata (2012), in una repubblica popolare dove il solo accennare allo smog devastante di città e campagna era ancora percepito come anti-governativo. In tale contesto, le percentuali diagnostiche di quelle malattie dovute a neurotossicità, che subiscono l’influenza di un ambiente altamente inquinato, erano pressoché nulle. Per malattie come la mia la diagnosi era sempre la stessa: ipocondria o depressione femminile. Eppure io depressa non sono mai stata e quei giudizi non li ho mai accettati, a ragione: la diagnosi definitiva di fibromialgia è arrivata nel giugno del 2014, presso l’ospedale di Verona.
Non che la mia sindrome sia mai stata particolarmente tenuta da conto in Italia. Nonostante le direttive OMS e UE emanate già dagli anni’90, la fibromialgia qui non è ancora unitariamente riconosciuta come malattia debilitante. Eppure la fibromialgia esiste. E’ una sindrome autoimmune invisibile e, ufficialmente, colpisce più del 10% della popolazione mondiale, provocandone la cronica infiammazione di tutti i muscoli e nervi.
Come ogni altra disabilità, la fibromialgia porta solitudine Come ogni altra disabilità, la fibromialgia porta solitudine. Tuttavia la rottura della bolla di isolamento che la circonda può ancora dar luogo ad una vita degna di essere vissuta. Io ho iniziato a farlo a modo mio, attraverso la fotografia, per dar voce alla mia e a tante storie simili.
Inizialmente si trattava di auto-terapia, ma ben presto è diventato qualcosa di più: era il mio modo di rivendicare una verità che mi veniva costantemente negata. Condividendo la mia storia online, sotto forma di diario fotografico e scritto, ho avuto modo d’incontrare persone lontane migliaia di chilometri, che tuttavia vivevano i miei stessi paradossi quotidiani e mi davano la forza di andare avanti.
La fotografia mi ha improvvisamente mostrato una luce ed io l’ho seguita.
La fotografia è in grado di evocare emozioni spesso troppo complesse per essere espresse a parole. Quello squarcio temporale ed ineffabile,una volta mutatosi in fotografia, può sempre farsi memoria, archivio, denuncia. Pertanto, la narrazione delle mie piccole battaglie quotidiane non è un indulgere su me stessa. Il fine ultimo di tutto questo narrare è, in realtà, rivendicare dei diritti che vengono quotidianamente negati ad un’intera categoria di cittadini e ridare una dignità vitale al semplice concetto di disabilità, costantemente associato alla malattia, umanizzandolo. Perché quando siamo tutti nudi e vulnerabili, l’ammalato diventa solo un altro uomo e colui che pare avere meno abilità, d’improvviso, è libero di scoprire nuove possibilità inaspettate da esplorare.
Denudarmi di fronte ad un mezzo così comune, come un telefono cellulare, mi lascia ritrarre la mia malattia per quello che realmente è: limite, sforzo, vittoria, sconfitta, semplicemente un quotidiano vivere.
Queste immagini e i diari che le accompagnano diventeranno un libro entro il prossimo anno. Contemporaneamente esse sono diventate il rizoma che sta dando vita ad un gruppo di persone affette da fibromialgia nella mia stessa città (Napoli). Persone intenzionate a cooperare con me e lo psico-fotografo Alfredo Toriello per narrare, in un documentario multimediale collettivo, le proprie esperienze con la fibromialgia, in una regione d’Europa in cui le è spesso ancora negata assistenza.
Il fine non è solo denunciare la nostra condizione ma creare, attraverso la narrazione collettiva, una comunità, che l’isolamento dovuto alla malattia ci ha quotidianamente negato.
(Una selezione da My Blue Days with F. è visionabile su visura.co)